Assegnazione posti auto e Condominio. Disciplina turnaria del parcheggio. Divieto di rinuncia alla proprietà comune

Parcheggio condominiale

Con la sentenza n. 11034 del 27/05/2016, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla legittimità della deliberazione dell’Assemblea condominiale che disciplini il godimento di uno spazio comune (una parte dell’area di cortile) beneficiando alcuni condòmini, e svantaggiandone altri.

In linea di principio, l’Assemblea può deliberare a semplice maggioranza l’uso a parcheggio di spazi comuni: in particolare, la delibera assembleare di destinazione del cortile condominiale a parcheggio di autovetture dei singoli condòmini, in quanto disciplina le modalità di uso e di godimento del bene comune, è validamente approvata con la maggioranza prevista dall’art. 1136 co.5 c.c. non essendo all’uopo necessaria l’unanimità dei consensi.

Ciò, tuttavia, in tanto vale in quanto la delibera regolamenti l’uso e il godimento nel senso di disporre una innovazione diretta al miglioramento, all’uso più comodo, oppure al maggior rendimento delle cose comuni a norma dell’art. 1120 co.1 c.c.: il quarto comma prevede infatti che sono vietate le innovazioni “che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condòmino”.

Il divieto di tali innovazioni ha proprio lo scopo di evitare che il singolo condòmino veda contrarsi il suo diritto di godere, entro i limiti della propria quota, di parti del condominio che sono comuni, e quindi destinate alla fruizione collettiva.

Si deve allora riconoscere che l’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito (al di fuori, dunque, di ogni logica di turnazione), di posti macchina all’interno di un’area condominiale sia illegittima, in quanto determina una limitazione dell’uso e del godimento che gli altri condòmini hanno diritto di esercitare sul bene comune.

In sintesi, dunque, la predetta assegnazione è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che vanno apprezzati sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto tra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.

E’ quindi nulla (e non soltanto annullabile) la delibera assembleare presa a maggioranza la quale approvi una utilizzazione particolare da parte di un singolo condòmino di un bene comune, qualora tale diversa utilizzazione rechi pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei coesistenti diritti altrui.

In allegato si riporta il testo integrale della sentenza (Cass. Civ., Sez. II, Sentenza n. 11034 del 27/05/2016).

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Per altro verso, in caso di parcheggi condominiali insufficienti a contenere contemporaneamente le autovetture di tutti i condòmini, la Corte di Cassazione ha altresì affermato la legittimità della disciplina turnaria dei posti macchina la quale, lungi dal comportare l’esclusione di un condòmino dall’uso del bene, “è adottata per disciplinare l’uso di tale bene in modo da assicurarne ai condòmini il massimo godimento possibile nell’uniformità di trattamento e secondo le circostanze” (Cass. Civ. 12873/2005), purché l’uso turnario del parcheggio sia distribuito in modo che tutti i condòmini abbiano gli stessi diritti sui posti auto, sebbene cadenziati in diversi momenti (Cass. Civ. 12486/2012).

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Sempre collegato a questo tema, la riforma in materia di Condominio (Legge 11 Dicembre 2012 n. 220, “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”) in vigore dal 18/06/2013, ha confermato il divieto di rinuncia alla proprietà comune a cui si aggiunge il divieto assoluto di rinunciare all’uso delle parti comuni, anche nei casi di riduzione delle spese o mediante trasformazione dell’uso. Unica eccezione: il distacco dell’impianto centralizzato di riscaldamento o condizionamento, possibile solo a determinate condizioni.

In precedenza, la Giurisprudenza aveva distinto tra la rinuncia alla proprietà, sempre vietata, e la rinuncia all’uso delle parti comuni. Quest’ultima, in particolare, era considerata ammissibile a condizione che i) non fosse vietata da un regolamento di tipo contrattuale, e ii) non recasse danno agli altri condomini.

Rinunciando all’uso delle parti comuni, peraltro, il condomino rimaneva obbligato a contribuire alle spese per la loro conservazione.

Sul punto, si era infatti dedotto che in determinate circostanze si potesse essere esonerati dalle spese per l’uso della cosa comune: «a differenza dalle spese per la conservazione delle parti comuni, le quali ancorché non assolutamente indispensabili offrono comunque una certa utilità oggettiva a tutte le unità immobiliari, le spese per l’uso sono correlate all’effettivo godimento: ovverosia ad un fatto soggettivo, di per sé mutevole, che può essere attuato in misura diversa o che, in ipotesi, potrebbe anche non essere effettuato per nulla. Perciò alle spese per la conservazione al condomino non è consentito sottrarsi, anche quando le cose sono indispensabili soltanto entro certi limiti, come nel caso dell’impianto di riscaldamento; a determinate condizioni, invece, alle spese per l’uso il condomino può evitare di concorrere. La rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato è legittima quando l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per la erogazione del servizio» (Cass. Civ. 5974/2004).

In sostanza, il condòmino non era tenuto a partecipare solamente alle spese di fornitura (di combustibile) o a quelle ordinarie (pulizia degli apparati), ma doveva comunque continuare a pagare tutte le altre spese rientranti nelle spese di manutenzione straordinaria, per la sua conservazione e messa a norma (Cass. Civ. 13718/2012).

L’art. 3 della Legge di riforma del Condominio ha quindi sostituito l’art. 1118 c.c. in materia di diritto del condòmino sulle parti comuni, confermando i princìpi dell’irrinunciabilità del diritto dei condòmini sulle parti comuni e dell’impossibilità di sottrarsi agli oneri ad essi connessi.

Il 1° comma del nuovo articolo, rispetto alla precedente formulazione, si è limitato a ribadire che il diritto di ciascun condòmino sulle parti comuni “è proporzionale al valore dell’unità immobiliare che gli appartiene”, salvo che il titolo non disponga altrimenti.

Il successivo 2° comma ha confermato la regola generale del divieto di rinuncia alla proprietà comune: non è dunque possibile scindere la proprietà esclusiva dalla proprietà delle parti comuni.

Il 3° comma ha modificato, invece, il previgente quadro normativo disponendo che “il condòmino non può sottrarsi all’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione delle parti comuni, neanche modificando la destinazione d’uso della propria unità immobiliare, salvo quanto disposto da leggi speciali”. E’ stato insomma stabilito il divieto assoluto di rinunciare all’uso delle parti comuni, anche nei casi di riduzione delle spese o mediante trasformazione dell’uso.

Il e ultimo comma contiene una eccezione limitatamente al distacco dall’impianto centrale di riscaldamento e condizionamento. Ribadendo quanto già avallato dalla precedente Giurisprudenza, la Legge di riforma ha quindi espresso principio secondo il quale “il condòmino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condòmini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.

A tale riguardo, si segnala una recente pronuncia del 2015 (Cass. Civ. 1680/2015) con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che la clausola, contenuta nel contratto di vendita di un appartamento sito in un edificio di condominio, con cui sia esclusa dal trasferimento la proprietà di alcune parti comune dell’edificio stesso, deve ritenersi nulla poiché con essa si intende attuare la rinuncia di un condòmino alle dette parti comuni, vietata dalla norma imperativa di cui all’art. 1118 comma 2 c.c.

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